PRIGIONIERI DI FACEBOOK

da " LA STAMPA" 19 novembre
Prigionieri di Facebook
Parte l'era del riflusso: troppi contatti inutili "Impossibile liberarsene, nessuno
sa come si fa"

ANNA MASERA

Prima erano le email. Poi le chat e la messaggeria istantanea. Adesso i social
network. Facebook primo fra tutti, visto che è il numero uno al mondo per
contatti. Più si diffondono questi sistemi digitali che permettono di comunicare
sempre, con chi si vuole e in qualsiasi momento, più aumentano i casi di
persone che ne rimangono intrappolati: si passa troppo tempo a controllare
se sono arrivati messaggi o a scriverne, il multi-tasking ci sfinisce e ci distrae;
per non parlare della perdita della propria intimità. E se molti non riescono
più a lavorare o cercano una via d'uscita per tornare alla loro vita «normale»,
sempre più aziende, oltre alle amministrazioni pubbliche, valutano di
oscurarne l'accesso.

Già: ma nell'era di Facebook, la vita normale non c'è più. Secondo lo scrittore
Andrea Bajani, che confessa di esserne stato «irretito», aderire al social
network più «in» del momento può rivelarsi un errore difficilmente
rimediabile: «Dopo due mesi ho chiesto ai miei amici di uscirne. E loro
disperati mi hanno detto che non sanno come fare, che ci hanno provato, ma
non capiscono come si fa».

Il social network più diffuso al mondo, creato nel 2004 dallo studente di
Harvard, Mark Zuckerberg, che ha sorpassato il suo diretto concorrente
MySpace con versioni in più di 20 lingue, 125 milioni di iscritti e un valore pari
a 16 miliardi di dollari, in Italia è un fenomeno esploso quest'anno (+961%). Il
segreto del suo successo? «Facile, immediato, personalizzabile» dicono gli
utenti, tramite il passaparola. Che qui è un meccanismo tanto efficace quanto
infernale. Per entrare basta compilare un profilo con qualche dato ed
eventuale foto: ci si connette con conoscenti, amici o amici degli amici,
persone con interessi in comune. Fioccano gli ex compagni di scuola, i
commilitoni, gli ex fidanzati, i fans, i tifosi, le goliardate, ma anche le comunità
culturali o con interessi politici. Si chiacchiera, li si mette al corrente di quello
che si fa, volendo anche minuto per minuto: ci si può collegare persino col
telefonino, per aggiornare il proprio status. In qualsiasi momento si possono
aggiungere altri elementi. Dipende dall'obiettivo che si vuole raggiungere.

L'utilità? Prezioso per farsi conoscere e trovare lavoro, assistenza, contatti
utili. Non a caso Obama ha puntato anche su questo sistema di relazioni per
farsi eleggere alla Casa Bianca. E' gara di adesioni anche tra i politici italiani:
Maria Stella Gelmini conta oltre 8 mila sostenitori, più di Walter Veltroni. Da
quando il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, per diffondere il
Vangelo fra nuovi adepti ha aperto il suo «profilo», ha già 5 mila «amici». Si
possono creare applicazioni aggiuntive: Don Paolo Padrini segnala di averne
creata una, PrayBook, per diffondere pagine di Vangelo. In tutt'altra direzione
l'attore Gianmarco Tognazzi, che su Facebook fa rivivere suo padre Ugo
perché «aveva molta paura di essere dimenticato». E abbondano le sfide sui
territori. L'ultima? Trento vuol battere il record di New York: mille utenti
incontrati nella realtà.

Ma bisogna sapere che si è imboccata una via senza ritorno nel momento in
cui si è inserito il proprio indirizzo e-mail, obbligatorio. Meglio darne uno di
seconda scelta, assolutamente non raccomandabile l'account aziendale.
Perchè è lì che si viene tempestati di inviti di presunti «amici» (ma lo sono
davvero?) a rispondere ai messaggi e partecipare agli «incontri». Ed è lì che
incomincia l'inferno per chi vuole stare tranquillo: se si tiene aperto l'account
di posta, è un continuo ricever messaggi, che distraggono dalle proprie
attività e invadono la propria intimità nei momenti più inopportuni. «Certo, a
reclamare intimità ci vuole coraggio, visto che ci si è sottoposti a tutto questo
volontariamente» commenta Giulia Stasi, 26 anni, italo-americana
newyorkese che vive tra Italia e Usa sempre collegata a Facebook per tenersi
in contatto con gli amici. Giulia ammette che «il vero rischio è la compulsività
che genera». Eppure, come gran parte della sua generazione digitale, lei è
convinta di saper staccare la spina quando serve. E offre consigli per non
restare prigionieri di Facebook.

«Per salvarsi, non bisogna raccontare cosa fai a tutti. Meglio ancora, non
bisogna farsi tutti amici». Perché è facile che ci siano - per esempio - i tuoi
capi, che scoprono che non stai lavorando. Soprattutto, bisogna stare attenti a
non raccontare bugie: è facile che ti scoprano le persone sbagliate («Eri al
lavoro? Ma se su Facebook hai detto a tutti che eri a fare shopping!»).

C'è poi l'incubo degli inviti: «E' meglio non accettare un invito da qualcuno
che non conosci bene, piuttosto che cambiare idea dopo e fartelo nemico»,
spiegano i facebooker. Già: perché si può cambiare la lista degli amici,
disattivandoli dal proprio profilo, ma loro se ne accorgono e ci rimangono
male. Come i bambini di una volta che dicevano: «Non ti faccio più mio
amico». Da adulti, è imperdonabile. Guai a non conoscere queste regole. E'
possibile ottenere l'espulsione di elementi indesiderati additandoli alla
comunità. A dirla tutta, è possibile anche auto-espellersi: basta aprire il
proprio profilo e selezionare l'opzione «Non voglio più esserci». Già: il
problema è che quando si è dentro, non si riesce a concepire di uscirne.

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