LE METAMORFOSI

LA METAMORFOSI : tre passi


LA VOCE DI BESTIA


«Ma signor procuratore,» gridò fuor di sé Gregor, dimenticando ogni norma di prudenza, tanto era agitato, «le apro subito, all'istante. Un lieve malessere, un capogiro mi ha impedito di alzarmi. Sono ancora coricato, ma ormai mi sono rimesso. Ecco, sto scendendo dal letto, pazienti ancora un minuto! Non mi muovo tanto facilmente come speravo, però di malessere non si può più parlare. Vede come certe volte uno vien preso alla sprovvista! Ieri sera stavo benissimo, i miei lo sanno: o per meglio dire, già ieri sera sentivo come un piccolo avvertimento, me lo si poteva leggere in faccia, credo. Perché mai non ho subito avvisato l'ufficio! Ma si spera sempre di poter vincere la malattia, senza bisogno di rimanere a casa. Signor procuratore! Abbia clemenza per i miei genitori!
Quanto ai rimproveri che lei mi ha mossi, non c'è nulla di vero; nessuno mi ha mai detto una parola al riguardo. Forse non ha letto le ultime commissioni che ho spedite? Immancabilmente partirò col treno delle otto, queste poche ore di riposo mi hanno ristabilito. Non si trattenga, signor procuratore: fra un attimo sarò in ufficio, abbia la bontà di dirlo al principale e gli presenti i miei ossequi!»
Gregor sciorinò in gran fretta tutto questo discorso, quasi inconsapevole di ciò che diceva. Frattanto, grazie alla pratica acquistata per uscire dal letto, non gli era stato difficile avvicinarsi al cassettone, e si appoggiò ad esso nel tentativo di drizzarsi. Voleva realmente aprire la porta e farsi vedere, voleva parlare col procuratore; era ansioso di sapere che cosa avrebbero detto, alla sua vista, gli altri che ora l'assillavano tanto. Se si spaventavano, lui non aveva più responsabilità e poteva star tranquillo; se invece lo prendevano come uno spettacolo normalissimo, neanche per lui c'eramotivo di agitarsi, e affrettandosi un po' avrebbe senz'altro potuto essere per le otto alla stazione. La parete liscia del mobile lo fece scivolare parecchie volte, ma alla fine, con un ultimo slancio, riuscì a tirarsi su. Non si accorgeva nemmeno più dei dolori al basso ventre, per quanto strazianti fossero. Si lasciò cadere contro la spalliera di una sediavicina e con le zampette ne strinse il bordo: finalmente riusciva a padroneggiare il proprio corpo. Tacque, porgendo l'orecchio a ciò che il procuratore stava dicendo.
«Sono riusciti a capire una parola?» chiese il procuratore ai genitori; «che stia prendendosi gioco di noi?» «Percarità,» gridò la madre già in lacrime, «forse è ammalato gravemente, e noi lo tormentiamo. Grete! Grete !» chiamò poi a gran voce. «Mamma,» rispose la sorella dall'altro lato: si scambiavano discorsi attraverso la stanza di Gregor. «Corri
immediatamente dal medico, Gregor è malato, Dal medico, presto. Hai sentito come parla?» «Era una voce di bestia,»disse il procuratore, in tono stranamente smorzato rispetto alle strida della madre. «Anna! Anna!» gridò il padre attraverso l'anticamera, in direzione della cucina, «va' subito a chiamare un fabbro!» E già le due ragazze correvano nell'anticamera facendo frusciare le gonne (come aveva potuto la sorella vestirsi così presto?) e spalancavano la porta d'ingresso, che poi non si sentì sbattere: evidentemente l'avevano lasciata aperta, come avviene nelle case colpite da qualche grave sciagura.






LA SCELTA DEL CIBO


Gregor ebbe modo di sperimentare la forza di quelle sue decisioni: vide infatti la sorella, quasi completamente vestita, aprire la porta dell'anticamera e guardar dentro ansiosa.
Non lo trovò subito, ma quando lo scorse sotto il divano - buon Dio, doveva pur essere in qualche posto, non poteva esser volato via! - si spaventò tanto che, incapace di controllarsi, richiuse di colpo la porta. Subito però la riaprì, come pentita di quel gesto, ed entrò in punta di piedi, neanche lui fosse un malato grave o addirittura un estraneo. Gregor aveva sporto la testa fin quasi sotto l'orlo del divano, per osservarla. Si sarebbe accorta che lui non aveva nemmeno assaggiato il latte, e non certo per poca fame? E gli avrebbe portato qualche altro cibo che gli piacesse di più? Se non
l'avesse fatto da sola, si sarebbe lasciato morir di fame piuttosto che farglielo notare, benché non ne potesse più dalla voglia di schizzar fuori da sotto il divano, gettarsi ai suoi piedi e implorarla dì dargli qualche cosa di buono da mangiare. Ma la sorella, osservata subito con meraviglia la ciotola ancora piena, con solo poche gocce di latte sparse all'intorno, la sollevò, non a mani nude ma servendosi di uno straccio, e la portò fuori. Gregor ardeva di curiosità: quale sarebbe stato il suo nuovo pasto? Per quanto si sbizzarrisse nelle congetture, non avrebbe però mai immaginato ciò che
la sorella, nella sua bontà, stava per fare. Allo scopo di studiare i suoi gusti' ella gli portò, distesa su un vecchio giornale, tutta una scelta di cibi. C'era della verdura vecchia, mezzo marcita, delle ossa avanzate a cena, intinte di una salsa bianca coagulata, qualche chicco d'uva passa e delle mandorle, un formaggio che due giorni prima lui stesso aveva dichiarato immangiabile, un pezzo di pane asciutto, un altro imburrato e un altro ancora con burro e sale. Vicino a questa roba posò poi la ciotola - che evidentemente ormai era riservata a Gregor - con dentro dell'acqua; e
comprendendo, nella sua delicatezza, che egli non avrebbe mangiato di fronte a lei, uscì in fretta e girò la chiave, cosìda lasciargli capire che facesse con tutto il suo comodo. Avvicinandosi al pasto, le zampette di Gregor vibravano d'agitazione. Anche la ferita, del resto, doveva essersi completamente cicatrizzata, giacché non risentiva più alcunimpedimento; si meravigliò al constatarlo, e gli venne in mente che oltre un mese prima s'era fatto un taglietto al ditoche gli doleva ancora abbastanza fino a due giorni fa. «Che sia diventato meno sensibile?» pensò, mentre succhiava avido il formaggio, cibo che fra tutti lo aveva immediatamente e segnatamente attratto. Uno dopo l'altro, con gli occhiche lacrimavano di contentezza, divorò rapido il formaggio, la verdura e la salsa; i cibi freschi, invece, non glipiacquero, ne trovò l'odore insopportabile e anzi li scostò un po' da quelli che voleva mangiare. Ormai aveva terminatoda un pezzo e se ne stava pigro ed immobile, quando la sorella, per fargli capire di ritirarsi, cominciò a girare piano lachiave nella toppa. A quel rumore trasalì, sebbene già sonnecchiasse, e corse di nuovo sotto il divano




SOSTUITUIRE IL CONTATTO VERBALE


Del cassettone, a rigore, Gregor poteva anche fare a meno, ma la scrivania doveva restare dov'era. E appena le due donne, sbuffando di fatica, ebbero trascinato il cassettone fuori della stanza, Gregor avanzò il capo da sotto il divano per accertarsi come avrebbe potuto, sia pur cautamente e col massimo riguardo, intervenire. Purtroppo, fu però la mamma a tornare indietro per prima, mentre Grete, nella camera accanto, reggeva maldestramente il mobile, senza riuscire a spostarlo d'un centimetro. Ma la mamma non era avvezzaalla vista di Gregor ed avrebbe potuto esserne turbata; spaventato a quell'idea, Gregor retrocesse di corsa fino all'altra
estremità del divano, ma non potè evitare che il lembo anteriore del lenzuolo si agitasse un poco; e questo bastò perché la mamma se ne accorgesse. Si arrestò di colpo, rimase ferma un istante, poi tornò da Grete.
Benché Gregor continuasse a ripetersi che non stava succedendo niente di speciale, all'infuori dello spostamento di qualche mobile, tuttavia fu ben presto costretto ad ammettere che quell'andirivieni delle due donne, i loro sommessi richiami, lo strisciare dei mobili sul pavimento, agivano su di lui come un grande, molteplice scompiglio; e per quanto ritraesse il capo e le zampe, e appiattisse il corpo contro il suolo, era ben certo che non avrebbe resistito a lungo. Gli stavano svuotando la stanza, gli stavano pigliando tutto ciò a cui era affezionato; avevano già portato fuori il comò, ove era riposta la sega da traforo con gli altri arnesi, e ora svitavano la scrivania fissata nel
pavimento, quella su cui aveva scritto i suoi compiti di allievo dell'accademia di commercio, di studente medio, persino di scolaretto delle elementari... No, veramente non gli restava più tempo di verificare le buone intenzioni di quelle due
donne, e del resto non si ricordava quasi nemmeno che esistessero: stanche morte, non aprivan più bocca, si udiva solo il loro greve scalpiccio.
E così, mentre nella camera vicina le due donne, appoggiate alla scrivania, rifiatavano un momento, egli avanzò, cambiò quattro volte direzione, incerto su che cosa cominciare a mettere in salvo; allorché sul muro già vuoto gli cadde sott'occhio il quadro della dama impellicciata. Vi salì rapido e si acquattò sul vetro, che lo tenne fermo rinfrescandogli il ventre bruciante. Il suo corpo ricopriva interamente il quadro: almeno questo non glielo avrebbero preso. Girò il capo verso la porta del tinello, per osservare il rientro delle due donne. Si erano brevemente riposate e già tornavano al lavoro; Grete cingeva con un braccio la mamma, portandola quasi di peso. «Cosa prendiamo, adesso?» fece, guardandosi attorno. In quell'istante i suoi sguardi incontrarono quelli di Gregor appeso alla parete. La presenza della madre la costrinse a dominarsi: per impedirle di guardare piegò il visoverso di lei e le disse, tutta tremante e sbigottita: «Perché non torniamo ancora un attimo di là, nel tinello?» Gregor capì benissimo l'intenzione della sorella: voleva portare la mamma al sicuro e poi cacciarlo dalla parete; ebbene, che provasse! Lui se ne stava fermo sul quadro e non cedeva; le sarebbe saltato addosso, piuttosto.

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